2014/04/30

“Into Darkness”: per favore non chiamatelo “Star Trek”

Premessa: Diversi mesi fa la rivista ufficiale italiana di Star Trek mi ha contattato chiedendomi di scrivere una recensione di Star Trek Into Darkness. La rivista, conoscendo il mio parere sul film, mi ha chiesto esplicitamente di scriverne una negativa e dettagliata, perché intendeva pubblicarla accanto a una positiva nello stesso numero, in modo da stimolare il dibattito sui meriti di Into Darkness. Ho scritto la mia recensione in italiano e poi l’ho tradotta in inglese, dato che tutto il materiale delle riviste ufficiali di Star Trek dev’essere tradotto per l’approvazione da parte della sede centrale statunitense. Mi è stato detto poco fa che la mia recensione non è stata approvata, per cui sono libero di pubblicarla qui (la versione inglese è qui) a completamento di quella senza spoiler che scrissi dopo l’anteprima del film. Ovviamente siete liberi di essere d’accordo o meno col mio punto di vista.

QUESTA RECENSIONE RIVELA DETTAGLI IMPORTANTI DELLA TRAMA (SPOILER).


Si rende conto dell’assurdità di nascondere una nave stellare in fondo all’oceano?” esclama indignato Scotty pochi minuti dopo l’inizio di Into Darkness.

Sì, Scotty, ce ne rendiamo conto. Anche troppo. È supremamente assurdo, ed è proprio questo il problema. Non ha alcun senso nel contesto ed è perfettamente evidente che la scena è stata voluta soltanto perché far emergere l’Enterprise dall’acqua sarebbe stato molto cool. Con questa battuta Into Darkness si è autodefinito perfettamente e completamente: una serie di scene spettacolari ma totalmente senza senso. Conosco e amo Star Trek da quarant’anni, e questo, mi dispiace dirlo, non è Star Trek.

Star Trek ha sempre avuto un posto speciale nel mio cuore di appassionato di fantascienza perché era l’esatto contrario di questo film: ti proponeva situazioni che raramente erano spettacolari ma quasi sempre avevano un senso profondo. Ti faceva pensare. T’importava poco della vistosa cartapesta dei fondali o dei raggi dei phaser che facevano gli schizzi, perché le sue storie (non tutte, ma quasi tutte) ti lasciavano qualcosa dentro: accanto alla meraviglia per l’avventura nel cosmo c’era una riflessione morale.

Bele e Lokai (Sia questa l’ultima battaglia) mettevano in luce l’assurdità ipocrita del razzismo e di ogni discriminazione; l’insensatezza della Guerra Fredda era il tema di fondo di Una guerra incredibile; in tempi più recenti, l’episodio La misura di un uomo nella serie La Nuova Generazione ci faceva riflettere su come definiamo l’essere umano, con tutte le sue implicazioni sulla schiavitù e sull’intelligenza in altre creature viventi (e, in futuro, quelle artificiali), mentre Tuvix in Voyager sollevava, con la concretezza di un esempio che solo un contesto fantascientifico poteva dare, il tema del diritto alla vita. Eccetera, eccetera, eccetera. Per non parlare dei personaggi, ai quali ti affezionavi perché avevano spessore, erano imperfetti, fallibili, dilaniati dai conflitti: in altre parole, umani.

Non c’è nulla di tutto questo in Into Darkness. Lascio stare volutamente le polemiche, già fatte egregiamente da altri, sulle luci che ti sparano in faccia ossessivamente e sulle colossali incoerenze della trama. Un modellino dell’astronave supersegreta in bella mostra in sala riunioni? Pazienza. Esiste un dispositivo di teletrasporto portatile capace di raggiungere istantaneamente il cuore dell’impero Klingon dalla Terra, eppure tutti continuano ad andare in giro con le astronavi? Sorvoliamo. Con tutta la tecnologia che ha Starfleet, con i telefonini che comunicano da un capo all’altro del quadrante galattico, non c’è un telecomando, un timer o un robottino che possa attivare la bomba su Nibiru, ma bisogna proprio calare nel vulcano una persona? E non c’è nessun altro, a parte Spock, capace di fare questa semplice operazione? Amen. Tutti i film di Star Trek hanno incoerenze di questo genere, se andiamo a scavare abbastanza. Certo, qui le incoerenze ti si spiattellano in faccia come badilate, senza dover scavare alcunché, ma chi è senza peccato scagli la prima pietra. Come sempre, ci si passa sopra se nel complesso la storia funziona, ha un tema che avvince e dei personaggi che intrigano.

Il guaio di Into Darkness è che la storia, nel suo complesso, proprio non funziona (per quanto gli attori siano bravi, Benedict Cumberbatch in testa, a usare quel poco che viene dato loro): non c’è un tema di fondo. I personaggi sono sagome di cartone che fanno qualunque cosa sia richiesta dalla sceneggiatura. Qualche esempio: McCoy, nel bel mezzo di una crisi, con Khan accanto a lui in sala medica che battibecca con Kirk, si mette a pasticciare con le infusioni di sangue di Khan a un triblo morto. Deve farlo proprio in quel momento? Sì, perché lo richiede il copione: questo lavoro totalmente irrilevante gli servirà per resuscitare Kirk poco dopo: per il resto la scena non ha senso. Spock originale dice che ha giurato solennemente di non rivelare il futuro, ma poi fa dietrofront e rivela tutto su Khan. Dei giuramenti solenni dei vulcaniani c’è poco da fidarsi, allora. Spock giovane che aspetta ad informare Kirk che c’è un impostore a bordo (la specialista in armi avanzate, nientemeno) perché attendeva che la cosa diventasse rilevante”. Come se avere a bordo un impostore durante una missione segreta potesse essere irrilevante. Siamo seri.

La colpa peggiore di Into Darkness, però, per un fan di lungo corso come me, è che prende dei personaggi cari a generazioni di appassionati come Spock, Kirk e McCoy e li snatura completamente. Nella metafora fondamentale di Star Trek, Spock è la fredda razionalità di una mente brillante, McCoy è l’emotività di una persona che pensa col cuore e Kirk è la mediazione e sintesi ideale di entrambi. Kirk ascolta il proprio cuore e la propria ragione e poi decide. Per questo Kirk, Spock e McCoy funzionano da decenni: rispecchiano e incarnano i nostri eterni dibattiti interiori. In Into Darkness, invece, Spock è semplicemente un alieno pedante generico che sconfigge Khan non con l’intelletto, ma a suon di cazzotti, e che quando vede Pike morente lo stupra con una fusione mentale forzata. McCoy è lì soltanto per fare battute bisbetiche. Ah, e anche per iniettare sangue di Khan a un triblo morto, tanto per fare. Kirk è un moccioso spaventato, indeciso e incompetente ma tanto carino e baciato da una fortuna assurda, che non mostra nessun presagio della propria futura grandezza.

Ricordate le parole del Kirk della Serie Classica a Carolyn Palamas in Dominati da Apollo? Quando le ricorda che siamo creature effimere sospese brevemente in un universo infinito, e che quindi tutto ciò che conta davvero è quel momento di umanità condivisa con coloro che amiamo? O il suo discorso agli abitanti di Vendikar ed Eminiar sulla necessità di ridare loro gli orrori della guerra per indurli alla pace? Parole potenti e commoventi, che mentre concludono la crisi della puntata fanno riflettere lo spettatore. Ora confrontatele con i dialoghi di Kirk in Into Darkness. Coraggio, fatelo. Aspetto qui.

Fatto? Bene, ora riascoltate il finale del film, quando Kirk cita il Giuramento del Capitano. Dovrebbe essere la morale conclusiva di Into Darkness, anzi il “monito”, come lo definisce Kirk, ma ascoltatelo bene. Recita testualmente: Spazio, ultima frontiera. Questi sono i viaggi della nave stellare Enterprise, nella sua missione quinquennale diretta all’esplorazione di strani e nuovi mondi, alla ricerca di nuove forme di vita e di nuove civiltà. Per arrivare laddove dove nessuno è mai giunto prima. Eh? Tutti i capitani della Flotta Stellare giurano citando i viaggi dell’Enterprise? E a dirla tutta, quello non è neanche un giuramento. Oltretutto Spock precisa, poco dopo, che la loro è la prima missione quinquennale: ma allora perché se ne parla già nel Giuramento? Questi sono dialoghi privi di senso. L’hanno intitolato Into Darkness perché l’hanno scritto brancolando nel buio.

Questi non sono i personaggi, non sono i temi e non sono le storie che noi Trekker abbiamo imparato ad amare. Sono delle loro parodie mal riuscite, spacciate per gli originali. Magari per chi non conosce quegli originali il problema non si pone, ma io devo dire, sinceramente e a malincuore, che mi sento tradito. Chiamatelo come volete, ma non chiamatelo Star Trek, perché non è Star Trek. È semplicemente l’ennesimo film spettacolare con gente che risolve tutto con esplosioni e scazzottate in un contesto di fantascienza già visto e stravisto. Khan stritola la testa dell’ammiraglio Marcus con le mani? Blade Runner. Gli eroi corrono inseguiti dai nativi primitivi ai quali hanno rubato un oggetto sacro? I Predatori dell’Arca Perduta. L’astronave passa per un pelo da un varco strettissimo? Il Ritorno dello Jedi. C’è una bomba da disinnescare agendo delicatamente sui suoi meccanismi? All’ultimo istante uno strappo brutale risolverà tutto, come al solito.

Con cliché totalmente prevedibili come questi, con dialoghi sconclusionati di questo calibro, non c’è nessuna sorpresa, nessuna tensione, nessuna sensazione che possa accadere qualcosa che non sia ovvio e scontato. Interrompere una battuta con un’esplosione non è un geniale colpo di scena che crea drammaticità: significa dover ricorrere al botto per mancanza di argomenti migliori e di dialoghi decenti. E alla terza volta stufa.

A proposito di cose scontate: vogliamo parlare della Grande Trovata? Quella di prendere una delle scene più toccanti de L’ira di Khan, quella in cui Spock, mentre muore davanti all’impotente Kirk, dichiara finalmente la propria profonda amicizia per il capitano, e capovolgerla facendo morire Kirk? Che idea geniale. Che originalità. Che sforzo creativo, partorito oltretutto togliendo ogni drammaticità, perché qui Kirk resuscita ancora prima della fine del film invece di restare quasi certamente morto fino al prossimo, come succedeva invece a Spock nell’originale. Noi Trekker d’annata abbiamo penato due anni con l’ansia che Spock fosse davvero uscito di scena per sempre (e conoscendo Leonard Nimoy, a quell’epoca era un pericolo concreto); chi vede Into Darkness pena (si fa per dire) nove minuti. Nove. Sì, li ho cronometrati.

Lo schiaffo estremo è veder gridare “Khaaaan!” a Spock anziché a Kirk. Non so voi, ma quando ho visto massacrare così quella scena originale memorabile il mio grido interiore è stato un sentitissimo, irrefrenabile...


... “Aaaabraaaaams!”.

Non ho ancora finito (beh, volevate una recensione negativa, no?). Into Darkness tradisce Star Trek non solo nei dialoghi e nella caratterizzazione, ma anche negli ideali. Le donne in Into Darkness sono fondamentalmente suppellettili ornamentali che non fanno praticamente nulla se non infilarsi nel letto di Kirk, lamentarsi del partner vulcaniano perché non mostra emozioni (cosa s’aspettava Uhura da un vulcaniano, serenate mattutine e petali di rosa alla propria postazione?) e fare spogliarelli gratuiti e senza senso per compiacere gli spettatori. In questo film le decisioni le prendono solo gli uomini e le azioni (positive o negative) le fanno solo gli uomini: le donne sono relegate a ruoli di contorno decorativo o di donzelle in pericolo. Dov’è finita la spinta verso la parità dei sessi che era una delle novità sovversive della Serie Classica, tanto che osava (negli anni Sessanta) proporre una donna come braccio destro del capitano dell’Enterprise (Lo zoo di Talos) e come capitano romulano (Incidente a bordo) e tanti altri personaggi femminili professionali, competenti e non sottomessi, sexy senza per questo dover rinunciare a un cervello?

C’è, infine, un altro ideale tradito, ed è quello che personalmente mi brucia di più. Lo Star Trek originale mostrava protagonisti che risolvevano le crisi soprattutto con l’astuzia e l’intelligenza (e qualche cazzotto al momento giusto), attingendo alla propria competenza e preparazione. Nessuno nasceva pronto al comando: bisognava studiare e sgobbare per ottenerlo. In Into Darkness, invece, tutto viene risolto con battaglie, sparatorie e scontri fisici e tutti sono istintivamente capaci di fare qualunque cosa senza neanche spettinarsi i capelli.

Chekov deve sostituire Scotty? Nessun problema: è un po’ come mandare in sala parto un idraulico, ma è tanto cool. Kirk è totalmente indisciplinato e insubordinato: viola anche la Prima Direttiva. Certo, lo faceva anche il Kirk originale, ma perlomeno non lo faceva per manifesta incompetenza: in Into Darkness, su Nibiru sarebbe bastato intervenire di notte e nessuno avrebbe visto nulla. Ma siccome questo Kirk è tanto bello ed è sfacciatamente raccomandato da Pike, gli danno lo stesso il comando dell’Enterprise. Se uno dei messaggi di fondo della Serie Classica era usa il cervello, studia e farai strada”, il nuovo Star Trek grida “se sei bello, studiare non serve e il cervello è un optional: mal che vada, userai quello degli altri”. La serie che rappresentava un simbolo e un rifugio per i nerd è diventata un’ulteriore fonte d’umiliazione.

Sì, lo so, Into Darkness e il film che l’ha preceduto hanno il merito di aver riportato alla ribalta il nome Star Trek. Vedendo questi film, nuovi fan saranno incuriositi e forse scopriranno che esistono la Serie Classica, la Nuova Generazione, Deep Space Nine e gli altri film e le altre serie che hanno storie e personaggi un po’ meno da popcorn. Ma se per rianimare Star Trek bisogna ricorrere alle infusioni di sangue di triblo e andare così tanto contro i suoi valori, forse il risultato ha un prezzo troppo alto. O forse quello che avete letto è soltanto lo sfogo di un vecchio nerd troppo attaccato al passato e al quale piacciono ancora le storie intelligenti e i personaggi che non hanno bisogno del 3D per bucare lo schermo.

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